10 software house fallite che ci mancano da morire

Le software house sono senza dubbio fucine di idee e creatività, luoghi dove l’impossibile diventa possibile a beneficio di tutti gli appassionati che premono il tasto Start per qualche ora di puro divertimento. L’universo delle case di sviluppo comprende però anche una verità non trascurabile: ai successi fragorosi si affiancano chiusure controverse ed eclatanti, che abbiamo deciso di raggruppare in questa lista.

Abbiamo raccolto i 10 fallimenti di software house più clamorosi, marchi mitici che ci mancano da morire, invischiati in un ginepraio di acquisizioni oppure spariti, sacrificati sull’altare del bilancio per poi magari risorgere sotto mentite spoglie.

Vi avvertiamo insomma: se siete degli inguaribili ottimisti o semplicemente fan del motto “Tutto è bene quel che finisce bene”, questa classifica non fa per voi.

10. BULLFROG PRODUCTIONS

C’era un tempo in cui le cose filavano lisce perché gestite a meraviglia. Le civiltà prosperavano, i parchi divertimenti erano sicuri e persino la sanità, sì la sanità, non stiamo scherzando, funzionava a dovere.

No, tutto ciò non era merito di qualche coscienzioso ministro italiano, bensì di titoli come Populous, Syndicate, Theme Park e Theme Hospital, vere e proprie pietre miliari del genere god game e gestionale targate Bullfrog.

Nel 1995 la compagnia inglese fondata 8 anni prima da Les Edgar e Peter Molyneux iniziò a pensare di potersi espandere, e tentò un audace allargamento accordandosi con Electronic Arts. Le cose però non andarono esattamente come auspicato. Molyneux lasciò il nuovo incarico dopo soli 2 anni per gettare le fondamenta di Lionhead Studios, altri membri di Bullfrog si sparpagliarono in diverse case di sviluppo e il marchio sparì a inizio anni 2000 dopo essere stato accorpato a Electronic Arts UK.

Si fosse trattato di un gestionale con noi giocatori al comando, non avremmo saputo sopprimerlo meglio insomma.

9. LIONHEAD STUDIOS

Dicevamo di Lionhead Studios. Con la nuova compagnia messa in piedi dopo il suo addio a Electronic Arts, Molyneux cercò subito di rifarsi una vita ricontattando però il suo vecchio, grande amore: il genere strategico in tempo reale. Ripercorrendo le orme dei god games, Lionhead Studios partì subito in quarta con Black & White e bissò il successo con Fable, indimenticato gioco di ruolo action pubblicato per Xbox e PC nel 2004.

Microsoft decise di acquisire lo studio nel 2006 ma l’amore, si sa, non è bello se non è litigarello e, oltre ai problemi finanziari, a indirizzare la software house verso il declino fu la diversità di vedute tra Molyneux e i vertici aziendali, sempre più attratti dalle potenzialità di Kinect.

L’annunciato Fable Legends ebbe uno sviluppo che definire tormentato significa essere generosi, e il leone iniziò dapprima a perdere i peli della criniera, fino a vedersi privare anche della testa con la chiusura della compagnia nel 2016.

Non ci rimane che sperare che Playground Games, impegnata sul remake di Fable, possa avere maggior fortuna.

8. LOOKING GLASS STUDIOS

Preparatevi perché la storia di Looking Glass Studios è un concentrato di talento e sfiga degno della carriera di Ronaldo il Fenomeno.

La software house americana nata nel 1990 visse infatti un decennio all’insegna di trovate geniali tradotte in incassi modesti e conseguenti debiti soffocanti. A Looking Glass dobbiamo opere del calibro di System Shock, i primi due capitoli della serie Thief noti come Dark Project, e Terra Nova: Strike Force Centauri, titoli che convinsero la critica, ma che il pubblico PC premiò soltanto con l’acquisto di una manciata di copie.

La compagnia vide pian piano la diaspora dei propri dipendenti: alcuni si accasarono da Irrational Games, mentre una delle menti principali, Warren Spector, trovò un tetto da Ion Storm. E indovinate un po’? Entrambi gli studi chiusero i battenti qualche anno dopo.

Se incontrate per strada qualche ex membro di Looking Glass insomma, siete autorizzati a toccare ferro.

7. JAPAN STUDIO

Può un marchio coinvolto in titoli della portata di Ape Escape, The Legend of Dragoon, ICO, Bloodborne e Demon’s Souls veder sparire il proprio nome? “Assolutamente no”, direte voi. “E invece sì”, ha risposto Sony, che nel 2021 ha di fatto sancito la chiusura del suo Japan Studio.

La compagnia nipponica annovera nel suo curriculum opere per qualsiasi generazione di console Playstation, destreggiandosi con abilità tra la spensieratezza di LocoRoco e Patapon, l’orrore della saga Siren e i rompicapi di Echochrome. A ereditare il suo posto è il Team Asobi, già responsabile di Astro’s Playroom, titolo di lancio PS5, e a noi non rimane che constatare che per raggiungere i risultati del suo predecessore, il neonato team di sviluppo dovrà rimboccarsi le maniche fin sopra la spalla.

6. LUCASARTS

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, LucasArts indicava la via da seguire sul pianeta delle avventure grafiche, sfoderando a ripetizione gioielli dalle caratteristiche eccelse.

Sebbene Lucas sia sinonimo di Star Wars, la società, in origine LucasFilm Games (marchio oggi risorto), non sfruttò il franchise della celebre saga di fantascienza almeno fino agli anni ’90, per concentrarsi su titoli come Labirynth, Maniac Mansion e soprattutto The Secret of Monkey Island.

Capostipite, quest’ultimo, di una serie leggendaria, divenuta ben presto un classico, imitata e per certi versi ancora mai eguagliata del tutto in termini di fascino. Dopo un decennio scintillante in cui videro la luce, tra gli altri, gioconi come Grim Fandango e Full Throttle, la software house finì per concentrarsi quasi esclusivamente su Star Wars appiattendo la qualità dei suoi prodotti.

Oltre alle grane di carattere economico, nel 2012 fecero la loro comparsa anche le truppe imperiali sotto forma di marchio Disney che fagocitarono LucasArts e LucasFilm, incapaci di resistere alla Forza.

Dei quattrini.

5. MAXIS

Se c’è una casa di sviluppo che ha provato in qualche modo a migliorare la nostra esistenza, quella è Maxis.

Con SimCity e soprattutto The Sims, la software house fondata nel 1987 da Will Wright e Jeff Braun ci ha dato la possibilità di gestire come meglio crediamo dapprima una città, e poi direttamente la nostra vita. Due successi planetari senza precedenti, capaci di macinare record di vendite e di scatenare un nugolo di sequel ed espansioni. Dopo il trionfo di SimCity, alcune catastrofi commerciali (tra cui SimCopter) spinsero Maxis a valutare offerte di acquisizione e a spuntarla fu Electronic Arts nel 1997.

Lo studio conservò comunque il proprio logo, per poi perderlo nel 2006 e recuperarlo qualche anno dopo. Nel 2009 Will Wright abbandonò la compagnia e la chiusura da parte di EA della storica sede di Emeryville, sei anni dopo, decretò la fine di un’era, sebbene Maxis compaia ancora nelle pagine web ufficiali.

4. EVOLUTION STUDIOS

“Salve, sono Evolution Studios e sono passata dallo sviluppare titoli di lancio di una nuova console allo sparire nel nulla”. Bene, salutiamo in coro Evolution Studios e facciamo ordine sulla sua storia.

La software house britannica venuta al mondo nel 1999 ha legato per 15 anni il proprio nome alle corse motoristiche, debuttando con la serie WRC su Playstation 2, dal primo capitolo fino a Rally Evolved. Con l’avvento di PS3, il team ebbe l’onore e l’onere di curare uno dei giochi che accompagnò la console durante i suoi primi vagiti in pubblico: MotorStorm. Responsabilità poi replicata con Driveclub su Playstation 4, ma qui le cose andarono un filino diversamente.

Presentato in pompa magna, il gioco bucò il lancio della console di circa un anno a causa di numerosi stop-and-go, e si rivelò approssimativo dal punto di vista della progettazione e un supplizio per ciò che riguardava il funzionamento dei server.

Criticità corrette nel tempo, è vero, peccato che Evolution Studios nel frattempo non esista più, chiusa da Sony nel 2016 dopo un drastico taglio del personale effettuato l’anno precedente.

3. VISCERAL GAMES

Cyber Tiger, Tiger Woods PGA Tour 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007, poi probabilmente lo stesso Tiger Woods si è stufato di avere gli sviluppatori EA Redwood Shores tra i piedi, e li ha cacciati a suon di mazzate.

Dopo un pugno di titoli dedicati a 007 e qualche incursione nel mondo di The Sims, la vera, grande svolta per lo studio arrivò nel 2008 con Dead Space, primo capitolo delle avventure dell’ingegnere minerario con la passione per gli spezzatini Isaac Clarke.

Di lì a poco il team cambiò nome in Visceral Games, quasi a voler sottolineare l’intenzione di offrire ai propri utenti esperienze crude e profonde, come testimoniato dai sequel appunto di Dead Space, dal buon Dante’s Inferno e da The Ripper, titolo ispirato alle gesta di Jack lo Squartatore poi cancellato.

La mannaia del destino crudele però non risparmiò nemmeno lo studio di sviluppo, cui venne prima tolto di mano il nuovo gioco ambientato nell’universo di Star Wars sul quale stava lavorando, per poi essere chiuso nell’ottobre 2017, aggiungendo così una tacca sulla lama al plasma del cacciatore di software house Electronic Arts.

2. MIDWAY

Se vi diciamo che Midway è la nonna delle case di sviluppo non pensiamo di esagerare, ed è innegabile: la scomparsa di una nonna porta con sé sempre una gran tristezza e qualche lacrima di nostalgia.

Attiva già alla fine degli anni ’50 nel mercato dei flipper e dei cabinati, Midway è stata l’indiscussa regina degli arcade e dei videogiochi in generale prima della loro diffusione casalinga. Suo il merito di aver fatto approdare in occidente mostri sacri come Space Invaders e Pac-Man, in seguito ad accordi stretti con Taito e Namco.

Mortal Kombat, Rampage, NBA Jam, i “grazie ” che dobbiamo a Midway sono infiniti. Negli anni ’90 la software house abbandonò gradualmente l’arcade per tuffarsi sulle console domestiche ma fu il decennio successivo a segnare il tramonto della società.

Le ingenti perdite costrinsero i vertici a dichiarare bancarotta, e nel 2009 Midway finì inghiottita da Warner Bros. Interactive Entertainment, che acquistò anche i diritti su Mortal Kombat e sui marchi storici della compagnia salvandoli di fatto dalla Fatality.

1. ATARI

Se avete superato i quaranta, al solo udire “Atari” un brivido di emozione dovrebbe correre veloce lungo la vostra schiena. E se non li avete superati, be’, avrete comunque sentito questo nome davanti al caminetto durante i malinconici racconti di qualche videogiocatore più attempato.

La società fondata all’alba degli anni ’70 da Nolan Bushnell e Ted Dabney ha ricoperto un ruolo di assoluto rilievo nel panorama degli arcade, e di quel divertimento che andava man mano spostandosi dalla sala giochi al salotto di casa, grazie anche a creature mitologiche come Pong.

L’odissea di Atari iniziò nel 1976 con la sua cessione alla Warner Communications ed è disseminata di successi, fiaschi e feroci console war. All’inizio degli anni ’80, l’Atari 2600 se la dovette infatti vedere con l’Intellivision prodotto da Mattel riuscendo a sfangarla, mentre qualche anno più tardi, sul versante portatile, l’Atari Lynx uscì con le ossa rotte dallo scontro con il Game Boy di Nintendo.

Tra acquisizioni e continui passaggi di proprietà, nella storia della compagnia spicca l’episodio che vede Atari sotterrare nel deserto del Nuovo Messico, nel 1983, migliaia di cartucce invendute di Pac-Man e del videogioco flop basato sul film di Steven Spielberg, E.T.

Passata per le mani di Hasbro e Infogrames che promise di restituire nuova linfa al marchio, Atari ha da sempre dovuto fare i conti con una situazione economica travagliata, che ha stretto il cerchio fino alla dichiarazione di bancarotta e a un graduale allontanamento dal mondo dei videogiochi.

Ed eccoci in fondo. Voi cosa ne pensate? Dopo questa carrellata di pessimismo vi è passata la voglia di mettere in piedi una software house? E quali sono gli altri studi di sviluppo che portate nel cuore e che hanno fatto una triste fine?

*FONTE: Multiplayer.